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Il 21 Marzo scorso, sulla rivista NEJM Catalyst Innovations in Care Delivery, pubblicazione del prestigioso gruppo del New England Journal of Medicine, è stato pubblicato un articolo scritto dai medici impegnati nell’epicentro della pandemia di Covid-19 provocata dal famigerato Coronavirus, più precisamente virus SARS-CoV-2.
Questo articolo mi ha molto colpito, sia per il contenuto sia perchè ho avuto l’onore di passare nel 2006 qualche settimana insieme ad uno degli autori, lui come chirurgo volontario e io come dentista volontario nell’Ospedale Missionario dell’Isola di Fogo. Conoscendo il suo spessore professionale e soprattutto umano, non riesco nemmeno ad immaginare il suo dolore e la sua frustrazione di questi giorni. Per questo ho deciso di tradurre questo articolo per dargli più ampia diffusione possibile, per sensibilizzare quanti ritengono, anche tra i colleghi, che si tratti solo di una influenza. Di seguito la traduzione. Al posto del grafico originale che potete trovare nell’articolo, ho preferito utilizzare un grafico aggiornato ad oggi elaborato dal sito Sole24ore.com

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Grafico da https://lab24.ilsole24ore.com/coronavirus/#box_4


Nell’epicentro dell’epidemia di Covid-19 e della crisi umanitaria in Italia: Cambiando le prospettive sulla preparazione e la mitigazione

In un ospedale di Bergamo profondamente stremato dalla pandemia di Covid-19, i medici esausti riflettono su come prepararsi al prossimo focolaio.


Il nostro ospedale è altamente contaminato e siamo ben oltre il punto di non ritorno: 300 letti su 900 sono occupati da pazienti Covid-19. Il 70% dei letti di terapia intensiva nel nostro ospedale è riservato a pazienti affetti da Covid-19 in condizioni critiche che hanno ragionevoli possibilità di sopravvivere. La situazione qui è triste in quanto operiamo ben al di sotto del nostro normale standard di assistenza. I tempi di attesa per un letto di terapia intensiva sono lunghi ore. I pazienti più anziani non vengono rianimati e muoiono da soli senza adeguate cure palliative, mentre i famigliari vengono informati telefonicamente, spesso da un medico ben intenzionato, esausto ed emotivamente svuotato con il quale non avevano avuto nessun contatto precedente.

“I sistemi sanitari occidentali sono stati costruiti attorno al concetto di assistenza centrata sul paziente, ma un’epidemia richiede un cambiamento di prospettiva verso un concetto di assistenza centrata sulla comunità”

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Ma la situazione nell’area circostante è ancora peggiore. La maggior parte degli ospedali è sovraffollata e si avvicina al collasso mentre non sono disponibili farmaci, ventilatori meccanici, ossigeno e dispositivi di protezione individuale. I pazienti giacciono su materassi a terra. Il sistema sanitario fa fatica a fornire servizi regolari – incluse le cure per la gravidanza e i parti- mentre i cimiteri sono sovraccarichi oltre il limite di capienza, il che creerà un altro problema di salute pubblica. Negli ospedali, gli operatori sanitari e il personale ausiliario sono soli, cercando di mantenere operativo il sistema. Al di fuori degli ospedali, le comunità vengono trascurate, i programmi di vaccinazione sono in attesa e la situazione nelle carceri sta diventando esplosiva senza possibilità di distanziamento sociale. Siamo in quarantena dal 10 marzo. Sfortunatamente, il mondo esterno sembra inconsapevole del fatto che a Bergamo questo focolaio sia fuori controllo.

I sistemi sanitari occidentali sono stati costruiti attorno al concetto di assistenza centrata sul paziente, ma un’epidemia richiede un cambiamento di prospettiva verso un concetto di assistenza centrata sulla comunità. Ciò che stiamo apprendendo dolorosamente è che abbiamo bisogno di esperti in sanità pubblica ed epidemie, ma questo non è stato al centro dell’attenzione dei vertici decisionali a livello nazionale, regionale e ospedaliero. Ci manca la competenza sulle condizioni epidemiche, che ci possa aiutare  ad adottare misure speciali per ridurre comportamenti epidemiologicamente scorretti.

“sono necessarie soluzioni per la pandemia per l’intera popolazione, non solo per gli ospedali.”

Ad esempio, stiamo imparando che gli ospedali potrebbero essere i principali vettori di Covid-19, poiché sono rapidamente popolati da pazienti infetti, facilitando così la trasmissione a pazienti non infetti. I pazienti vengono trasportati dal nostro sistema regionale,  che contribuisce anche a diffondere la malattia con il suo personale e le sue ambulanzeche diventano rapidamente vettori. Gli operatori sanitari sono portatori asintomatici o malati senza sorveglianza; alcuni potrebbero morire, compresi i giovani, il che aumenta lo stress di quelli in prima linea.

Questo disastro potrebbe essere evitato solo da un massiccio dispiegamento di strutture  sanitarie mobili. Sono necessarie soluzioni per la pandemia per l’intera popolazione, non solo per gli ospedali. Le cure a domicilio e le strutture sanitarie mobili evitano spostamenti inutili e riducono la pressione dagli ospedali. L’ossigenoterapia precoce, i pulsossimetri e la nutrizione possono essere erogati nelle case dei pazienti affetti da forme leggere di malattia e convalescenti, istituendo un ampio sistema di sorveglianza con adeguato isolamento e sfruttando gli innovativi strumenti della telemedicina. Questo approccio limiterebbe il ricovero in ospedale a un obiettivo mirato di gravità della malattia, riducendo così il contagio, proteggendo i pazienti e gli operatori sanitari e minimizzando il consumo di dispositivi di protezione. Negli ospedali, la protezione del personale medico dovrebbe essere prioritaria. Nessun compromesso dovrebbe essere fatto sui protocolli; l’attrezzatura deve essere disponibile. Le misure per prevenire l’infezione devono essere attuate in modo massiccio, in tutte le località e compresi i veicoli. Abbiamo bisogno di padiglioni e operatori ospedalieri Covid-19 dedicati, separati da aree libere dal virus.

“Abbiamo bisogno di un piano a lungo termine per la prossima epidemia”

Questa epidemia è più che un fenomeno di terapia intensiva, piuttosto è una crisi di salute pubblica e umanitaria. Richiede sociologi, epidemiologi, esperti di logistica, psicologi e assistenti sociali. Abbiamo urgentemente bisogno di organizzazioni umanitarie che riconoscano l’importanza dell’impegno locale. L’OMS ha espresso profonda preoccupazione per la diffusione e la gravità della pandemia e per i livelli allarmanti di inazione. Tuttavia, sono necessarie misure audaci per rallentare l’infezione. Il blocco è fondamentale: il distanziamento sociale ha ridotto la trasmissione di circa il 60% in Cina. Ma si verificherà probabilmente un ulteriore picco quando le misure restrittive saranno allentate per evitare un grave impatto economico. Abbiamo fortemente bisogno di un punto di riferimento condiviso per comprendere e combattere questa epidemia. Abbiamo bisogno di un piano a lungo termine per la prossima pandemia.

Il coronavirus è l’Ebola dei ricchi e richiede uno sforzo transnazionale coordinato. Non è particolarmente letale, ma è molto contagioso. Più la società è medicalizzata e centralizzata, più il virus è diffuso. Questa catastrofe che si sta svolgendo nella ricca Lombardia potrebbe avvenire ovunque.

AUTORI DELL’ARTICOLO ORIGINARIO

  • Mirco Nacoti, MD Department of Anesthesia and Intensive Care, Pediatric Intensive Care Unit, Papa Giovanni XXIII Hospital, Bergamo, Italy
  • Andrea Ciocca, MEng Associazione Sguazzi, Bergamo, Italy
  • Angelo Giupponi, MD Emergency Department, Papa Giovanni XXIII Hospital, Bergamo, Italy
  • Pietro Brambillasca, MD Department of Anesthesia and Intensive Care, Papa Giovanni XXIII Hospital, Bergamo, Italy
  • Federico Lussana, MD Hematology and Bone Marrow Transplant Unit, Papa Giovanni XXIII Hospital, Bergamo, Italy
  • Michele Pisano, MD General Surgery Department, Papa Giovanni XXIII Hospital, Bergamo, Italy
  • Giuseppe Goisis, PhD Associazone Compagnia Brincadera, Bergamo, Italy
  • Daniele Bonacina, MD Pediatric Anesthesia and Intensive Care, Papa Giovanni XXIII Hospital, Bergamo, Italy
  • Francesco Fazzi, MD Pediatric Anesthesia and Intensive Care, Papa Giovanni XXIII Hospital, Bergamo, Italy
  • Richard Naspro, MD Urology Department, Papa Giovanni XXIII Hospital, Bergamo, Italy
  • Luca Longhi, MD Neurointensive Care, Papa Giovanni XXIII Hospital, Bergamo, Italy
  • Maurizio Cereda, MD Anesthesiology and Critical Care, Perelman School of Medicine, University of Pennsylvania
  • Carlo Montaguti, MD Centre Medico Social Focolari, Man, Ivory Coast
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